Julien Friedler è un artista eclettico, che si esprime con diversi mezzi, tra cui la scrittura e la pittura.
Grande significato simbolico rappresentano anche tutte le sue installazioni, opere in cui l’artista belga accosta dipinti con oggetti e Schnarks, bizzarri giullari che popolano l’atelier dell’artista a Bruxelles: si tratta di creazioni che sono la personificazione deforme o fantastica dei sogni più inquietanti, oppure eroi leggendari che abitano mondi sconosciuti.
Tra le installazione più significative di Friedler va senza dubbio annoverata Les Innocents (2000, opera originale 9×11 m), un’opera che rappresenta una potente evocazione della prigionia che, come spiega la critica d’arte Dominique Stella “nel corso della sua elaborazione, ha acquisito le caratteristiche di un campo di concentramento in cui il simbolo dell’infanzia violata e maltrattata raggiunge il ricordo del martirio del popolo ebreo. Non c’è, però, nessun desiderio di commentare, nessuna volontà di ricordare il destino del popolo ebreo. In questa installazione Friedler vuole far emergere l’universalità della sofferenza che da sempre si riproduce e si ripete nella follia e nella violenza degli uomini. Si tratta qui di un gesto espiatorio nel quale l’artista investe le proprie forze di redenzione.”
A differenza dei dipinti, che sono spesso il risultato di un’espressione immediata e istintiva, la realizzazione di questa installazione – che è stata presentata, leggermente modificata, anche a Spoleto nell’ambito della personale Retro Boz del 2016 – ha impegnato Friedler per diversi mesi. La scena è costruita valorizzando alcuni elementi dal forte valore simbolico: c’è il filo spinato, i peluche, i banchi di scuola. Friedler stesso la descrive come “una messa in scena certo tragica ma anche ludica, ho utilizzato il linguaggio degli estremi: l’infanzia e la morte, è la Shoah, naturalmente, ma anche una metafora dell’infanzia imprigionata… di tutti i bambini del mondo uccisi e feriti nella loro innocenza”.
La gabbia al centro dell’installazione è occupata da uno schnark che assume un particolare rilievo per Friedler: è Jack Balance (1998), il suo alter ego.
«Jack Balance mi è necessario – dice Julien Friedler – probabilmente perché amo stare in disparte dal mondo. Sono timido e solitario, e quindi ho elaborato un espediente che mi permette di dire e di fare ciò che io non sarei mai in grado di esprimere e di fare».
Jack Balance simboleggia la lotta che l’uomo sostiene per esistere, nella terribile dipendenza dal proprio Creatore. Jack Balance è rinchiuso in una gabbia dalla quale scappa per fare il giro del mondo. Per esistere, egli deve continuamente truffare, protestare, ribellarsi. Jack Balance è un clown frustrato che si pone domande esistenziali, percorrendo il pianeta in una ricerca mistica.
Jack Balance incarna la Coscienza, ed è attorno a lui che ruota, non a caso, tutta l’installazione.