C’è un annoso dibattito che segue a ruota il discorso del mercato dell’arte: è un controsenso che l’arte sia legata ad un mercato? Non va contro l’idea di libera arte vincolarla a valori, quotazioni, investimenti, compravendita? Non abbiamo una risposta a questa difficile domanda, anche se forse è effettivamente difficile esimere qualcosa dal mondo dell’economia al giorno d’oggi, ma è spunto di grandi riflessioni. Quindi, per ora, diamo per scontato che un mercato dell’arte sia giusto e necessario e sia funzionale anche all’arte stessa: ora possiamo iniziare a parlare dell’argomento.
I mercati in generale riflettono ciò che succede in modo praticamente immediato: ad esempio, Draghi parla e lo spread, qualche minuto dopo, si abbassa, ma nel mercato artistico questo non succede. Il mercato dell’arte ha delle caratteristiche che lo differenziano dagli altri: è molto resiliente, abbastanza sicuro, un po’ spietato, considerato un buffer, caratterizzato da pochi attori, non genera cash flow ma solo capital gain. Traducendo: è un mercato di nicchia, considerato molto sicuro, anche se non accessibile a tutti, e il suo rischio è legato quasi solamente alla potenziale frode che si incontra con opere false e non ai rendimenti futuri. Rappresenta quindi un investimento sicuro, un po’ come l’oro.
Sia la produzione che la circolazione dell’arte riflettono, come è noto, il momento storico, sociale e politico della società: ad esempio i movimenti femministi, anti-razziali, congiunture politiche particolari hanno un’eco mediatica notevole e conseguenze di vario genere e questo si riflette anche in una variazione dei volumi e dei prezzi di vendita, oltre che nello spostamento di quote di mercato da categorie più consolidate di vendita ad alcune meno scandagliate.
Più in generale, il mercato dell’arte si muove cautamente e segue i trend di creazione di ricchezza: tra il 2019 e il 2020 ad esempio, con l’inizio della pandemia, ha subito una contrazione moderata paragonata agli altri mercati. Gran parte delle aste si sono trasferite online, con due conseguenze: sono diminuite principalmente le vendite dei top lots (ossia tutti i beni aggiudicati per più di $ 2.000,000) a favore delle categorie intermedie del mercato, ma le vendite online sono più che duplicate rispetto al 2019. Questa recessione, la più grave a livello mondiale dal 2009, ha creato gravi problemi di incertezza in numerosi mercati, incluso quello artistico, che però ha mostrato flessibilità – intesa come capacità di adattamento di un mercato che ha saputo reagire alle inedite sfide poste.
Flessibilità in primis da parte dell’offerta: gli operatori hanno dovuto trovare soluzioni in poco tempo per tenere vivo il mercato, affidandosi alle piattaforme virtuali e studiando nuove strategie per stimolare la domanda, anche con l’uso dei social. Anche dal lato della domanda la risposta è stata abbastanza positiva: molti collezionisti e appassionati sono stati disposti ad adattarsi e a cedere a compromessi online pur di continuare la loro attività. Lo spostamento di una parte del mercato sul web è uno dei – pochi – lasciti positivi della pandemia, perché è uno strumento che sicuramente continuerà ad essere sfruttato, dato l’enorme potenziale. Il mercato fisico rimane comunque di vitale importanza, perché le piattaforme virtuali sono in grado di sostenere il mercato solo parzialmente: il collezionista continua ad avere l’esigenza di vedere un’opera dal vivo.
La Biennale di Venezia ha da sempre un ruolo importante nel dettare i trend dell’arte contemporanea e nel delineare periodicamente la direzione che prende l’arte. Concentrando l’attenzione sugli ultimi anni, notiamo una presenza massiccia di opere della black community nella Biennale d’arte del 2019, May you live in interesting times curata da Ralph Rugoff. Nelle principali piazze mondiali, le vendite di opere provenienti dal continente africano hanno registrato un record di 14 milioni di sterline in quell’anno, con un aumento del 41% sul 2018 (9,9 milioni di sterline). L’attuale Biennale, Il latte dei sogni curata da Cecilia Alemani, è la consacrazione dell’arte black e femminile (circa il 90% degli artisti esposti si identifica nel genere femminile). Per questo ed altri motivi, consigliamo vivamente di visitarla.
Che forma prenderà il mercato negli anni a venire è un quesito interessante. Sicuramente evolverà l’ambito legislativo per la tutela delle nuove forme d’arte digitale ed assisteremo a volumi sempre più massicci di transazioni effettuate in criptovalute. Probabilmente si rinforzeranno nuove piazze del mercato accanto alle più consolidate Parigi, New York – che rimane la più forte, con un 43% di valore venduto nel 2021 – Londra e Hong Kong. Secondo Cristina Masturzo, penna di Art Tribune, il livello degli scambi è tornato ai livelli pre-pandemia, stando ai dati di ArtBasel, e ciò grazie all’aumentata spesa degli acquirenti (oltre ad un loro aumento numerico). Questo ha spinto al rialzo il valore di alcune opere a discapito di opere verso cui l’interesse è sceso. La maggior parte dell’arte in commercio al momento è contemporanea e per ora non c’è motivo di pensare che non sarà così anche negli anni a venire.
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